giovedì 16 febbraio 2012

FOR THIS PLACE WE HAVE NO NAME - Le immagini di Pieter Hugo

LA CORRETTA VISUALIZZAZIONE DI QUESTO BLOG è CON GOOGLE CHROME, MOZILLA, SAFARI E NON CON INTERNET EXPLORER

Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"

.



















Da severa, cinica e disillusa che sono, negli ultimi mesi mi ero detta più volte che le uniche mostre fotografiche che vendono rifilate a noi romani sono di scarsissimo rilievo sociale e zoppe dal punto di vista della ricerca fotografica. Abbiamo dovuto visitare la mostra di cartoline photoshoppate di Steve Mc Curry, dove tutti gli abitanti dei cinque continenti (anche i bambini che imbracciano i mitra o i minatori sfruttati del sud America) sembrano sereni e indossano vestiti stirati e colorati. Abbiamo (ri)visto anche le fotografie di Henri Cartier Bresson in un nuovo spazio espositivo nel centro di Roma, accompagnate, ciascuna, da brani e poesie scritte da autori famosi. Fin qui, niente di stuzzicante, niente di interessante. Per fortuna ho dovuto ricredermi entrando nella Sala Carlo Scarpa del MAXXI, dove, fino al 29 aprile, sono in mostra le fotografie di Pieter HugoFinalmente una mostra fotografica di altro spessore documentaristico e con un obiettivo di sensibilizzazione su una grave problematica attuale.
Fotografo sudafricano, Pieter Hugo, si è dedicato negli ultimi dieci anni a documentare per immagini l'estesissima discarica di rifiuti elettronici, situata nella baraccopoli di Agbogbloshie, nella parte ovest di Accra, la capitale del Ghana. Sul suo sito web si legge che, quando domandava agli abitanti della discarica di rifiuti tecnologici il nome del luogo, loro gli hanno sistematicamente risposto che per quel luogo non vi era nome. Solo chi non vive nella discarica ma abita le aree ricche della città, ha battezzato la zona 'Sodoma e Gomorra' (uccisi da Dio, nell'Antico Testamento da una pioggia di fuoco e zolfo). Le fotografie che compongono la mostra "Permanet Error" di Pieter Hugo raccontano meticolosamente un nuovo scenario africano, non quello della povertà o delle guerre civili ma quello delle conseguenze del capitalismo e del consumismo sfrenati della società occidentale e dello smaltimento incontrollato dei rifiuti. Le fotografie di Pieter Hugo mi hanno fatto balzare alla memoria il reportage di Der Spiegel tradotto da Internazionale nell'Aprile 2010, che raccontava con sguardo oggettivo la vita quotidiana dei ragazzi che abitano la baraccopoli di Agbogbloshie. Eccone alcuni stralci: 
Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
<< I rifiuti dei paesi ricchi bruciano ad Accra - Nella capitale del Ghana c’è un’enorme discarica di prodotti elettronici. A smaltirli sono dei ragazzi che vivono tra veleni e fumi tossici. [...] Le baracche di Agbogbloshie sono avvolte da un fumo
Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
nero che brucia la gola. Anche l’acqua del fiume che scorre qui vicino è nera ed è densa come l’olio. Il fiume trascina verso il mare le carcasse vuote dei computer. Su una delle due sponde c’è un grande spiazzo dove bruciano frammenti di plastica e gommapiuma. Le fiamme divorano le guaine intorno ai cavi elettrici, la plastica delle prese e delle schede elettroniche. Il vento spande quel fumo infernale su tutta la zona e le persone vicino al fuoco sembrano solo ombre nella nebbia. Respirare fa male ai polmoni. Una sagoma ricurva cammina tra le fiamme. Con una mano un ragazzo trascina in mezzo alla cenere un vecchio altoparlante, appeso a un cordoncino. Nell’altra mano stringe forte una busta di plastica. L’altoparlante e la busta, i pantaloni e la maglietta che indossa, sono tutti gli averi di questo ragazzo dal nome insolito.

Bismarck ha quattordici anni ma sembra più piccolo della sua età. Perlustra il terreno alla ricerca dei resti che i ragazzi più grandi di lui hanno lasciato dopo aver bruciato uno stock di computer: cavi di rame, motori di hard disk, pezzi di alluminio. Viti e prese d’acciaio, invece, si attaccano al magnete dell’altoparlante. Bismarck riempie la sua busta di tutto quel materiale. 

Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
Quando finalmente è mezza piena può vendere il metallo e comprarsi un piatto di riso e un pomodoro, o perfino una coscia di pollo, grigliata sul cerchione di un'auto trasformata in barbecue. [...]. Lo spiazzo vicino a Sodoma e Gomorra è il capolinea dei vecchi computer e di altri rifiuti elettronici provenienti da tutto il mondo. Di posti simili ce ne sono molti in Nigeria, Uganda, Vietnam, India, Cina e nelle Filippine. In Ghana ci sono centinaia di ragazzi che vivono della spazzatura dell’era di internet e probabilmente ne moriranno. Nel 1989 è stato firmata la Convenzione di Basilea, un trattato internazionale che vieta al primo mondo di scaricare i suoi rifiuti elettrici nel terzo senza autorizzazione. In tutto il mondo sono migliaia. 
Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
Smontano i computer, frantumano i monitor a sassate e poi buttano le parti interne nel fuoco. È così che i computer dei ricchi avvelenano i figli dei poveri: nei computer ci sono grandi quantità di metalli pesanti e mentre la plastica brucia i bambini respirano veleni cancerogeni. Secondo una stima dell’Onu, ogni anno nel mondo si producono fino a cinquanta milioni di tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici. Smaltire in Germania un vecchio monitor con il tubo catodico costa circa 3,50 euro. Spedirlo in un container in Ghana costa non più di 1,50 euro. L’accordo è stata approvato da 172 paesi, ma tre dei firmatari non l’hanno mai ratiicato: Afghanistan, Haiti e Stati Uniti, dove, secondo le stime dell’agenzia per l’ambiente di Washington, ogni anno quaranta milioni di computer diventano rifiuti elettronici. Macchie e pruriti - Dopo la convenzione di Basilea, l’Unione europea ha varato alcune direttive come la Weee (Waste from electrical and electronic equipment), che regola il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti elettrici ed elettronici,e la Rohs (Restriction of hazardous substances directive), che limita l’uso di piombo, mercurio, cadmio e cromo nella fabbricazione degli apparecchi. I singoli stati hanno trasformato queste direttive in leggi. Le norme tedesche sono tra le più rigide. Chi spedisce riiuti elettronici in Ghana in teoria rischia il carcere. Secondo un’indagine commissionata dal governo tedesco, ogni anno centomila tonnellate di rifiuti elettrici vengono esportati verso il sud del mondo, molto più di quanto pensassero gli esperti. Il sistema del riciclo è fatto di vie tortuose. “È un affare enorme che non può essere gestito dalla piccola criminalità”, spiega Knut Sander dell’istituto ambientale Ökopol di Amburgo. Sander, l’autore dell’indagine, ha fatto ricerche per mesi, non solo tra i documenti. È stato avvisato che avrebbe fatto meglio a occuparsi della sua sicurezza, ma è andato avanti lo stesso. “Il porto di Amburgo è importante”, spiega. 
Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
“E quello che non passa per Amburgo passa per i porti di Anversa e Rotterdam”. Sander ha seguito le tracce dei piccoli criminali – quelli che a volte spediscono un container, o un paio di auto piene di computer – e delle grandi imprese, che spediscono bastimenti carichi di veleni. 
Sono le aziende di riciclaggio, che ogni anno raccolgono centinaia di migliaia di vecchi computer. Sono autorizzate a rivendere quelli funzionanti ma devono riciclare quelli difettosi e in Ghana sanno di risparmiare. I doganieri e gli agenti della guardia costiera incaricati di fermare il traffico dei riiuti elettrici sono pochi. Quando gli capita di aprire un container non sanno bene cosa fare perché la legge non deinisce chiaramente cos’è un riiuto elettronico. I computer usati possono essere esportati, i rifiuti no. Ma i pc guasti che magari si possono riparare con poco, come sono da considerare? E i computer vecchi di vent’anni, su cui praticamente non gira più nessun programma? Nel dubbio i giudici decidono a favore degli esportatori. Bismarck sa solo che tutti quei computer puzzano, che abbiano dieci o vent’anni, che siano Dell, Apple, Ibm o Siemens. Il fumo dà il mal di testa e il mal di gola. 

Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
Le ceneri appiccicose provocano prurito e macchiano la pelle, ma non ci si può grattare, altrimenti la polvere brucia. Prima di arrivare qui Bismarck sapeva che l’aspettava l’inferno, ma aveva dieci anni e credeva che l’inferno potesse essere avventuroso. E poi non aveva scelta, come gli altri bambini di Sodoma. La maggior parte di loro è venuta ad Accra dal nord del Ghana, una regione molto povera. [...] Un giorno un ragazzo più grande di lui gli ha detto che ad Accra, tra il mercato di Agbogbloshie e lo slum di Sodoma e Gomorra, c’è un posto dove anche i bambini di dieci anni possono guadagnare abbastanza per comprarsi da mangiare. L’amico sedicenne gli ha raccontato tutto, anche dei computer, del fumo e del fatto che bisognava essere forti. Poco dopo sono partiti. Bismarck ha imparato in fretta le regole del posto e la sua gerarchia. Si può sperare di fare carriera solo con il passare del tempo. I ragazzi più grandi, sui venticinque anni, controllano le grandi bilance che si trovano quasi sempre alla fine dei sentieri tracciati nella cenere. Comprano dai bambini i metalli ricavati dai computer e li rivendono a una grande fonderia nelle vicinanze del porto. Dopo una giornata di lavoro tra le fiamme, quando la busta di Bismarck è mezza piena, i ragazzi più grandi gli pagano due cedi ghanesi (circa un euro). I giovani sui diciotto anni spingono dei carretti fatti con ruote d’auto e tavole di legno. All’alba girano per la città e raccolgono dagli importatori i rifiuti elettrici che poi portano sullo spiazzo di Sodoma e Gomorra. 

Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
Qui smembrano i computer e gettano i cavi nel fuoco. Kwami Ama ha 16 anni ed è uno dei due amici di Bismarck. Kwami ha un corpo robusto e un viso rotondo da bravo ragazzo. La sera i suoi occhi, arrossati dopo una giornata di lavoro tra i fumi, lo fanno sembrare cattivo. Le mani sono segnate dalle cicatrici che si è procurato maneggiando vecchi frigoriferi e computer rotti e taglienti. Dai frigoriferi Kwami strappa il materiale isolante, poi gli dà fuoco e ci butta dentro i resti dei computer. Bismarck, invece, ha paura della notte. Quando fa buio si accuccia come un cane contro delle tavole nella cenere, vicino a un congelatore o accanto a una bilancia. Cambia spesso posto. Bismarck ha solo due amici. In quell’inferno è una lotta tra poveri. Pochi giorni prima aveva avuto fortuna: aveva trovato molto rame e aveva guadagnato sette cedi. Ne aveva spesi solo due ma la mattina dopo gli altri cinque erano scomparsi. Durante la notte, mentre dormiva, qualcuno gli ha tagliato la tasca dei pantaloni con una lama di rasoio. Bismarck guadagna troppo poco: può permettersi di mangiare o di affittare un posto per dormire in una baracca, ma non tutte e due le cose. [...] Con il tempo Kwami (un altro ragazzo) ha cominciato a dimenticare molte cose. Ma ricorda ancora quando l’anno scorso un gruppo di bianchi è arrivato a Sodoma e Gomorra. Fatto raro.Erano di Greenpeace. Ce n’era uno che indossava dei guanti e aveva delle provette in mano. 

Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"
Ne ha riempite alcune con dei campioni di melma del fiume, altre con cenere e terra raccolte in diversi punti dello spiazzo dei fuochi. Tornato in Gran Bretagna il chimico ha analizzato i campioni raccolti. I risultati erano allarmanti. Sono state trovate alte concentrazioni di piombo, cadmio, arsenico, ma anche diossina, furano e policlorobifenili [...]. >>


L' esposizione fotografica "Permanent Error" di Pieter Hugo, curata da Francesca Fabiani, fa parte della mostra Re-cycle, al MAXXI di Roma fino al 29 aprile 2012.


Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"





































Foto di Pieter Hugo - dalla serie "Permanent Error"

Nessun commento:

Posta un commento