martedì 24 gennaio 2012

Vedi Roma, New York, Parigi, Berlino.. e poi muori. WHO IS Hugues Roussel - il fotografo della città

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Originario di Béthune, un piccolissimo paese della Francia, a due passi dal confine belga, Hugues Roussel ha perfezionato negli anni una tecnica fotografica sperimentata da pochissimi artisti nella storia della fotografia. Espone il negativo due volte, lasciando che luoghi diversi e luci si imprimano uno sull'altro. Così costruisce il progetto Inverse Landscape in cui il paesaggio urbano viene stravolto e la pellicola diventa una traccia visibile del supporto fotografico.

Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series
Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series

In quale galleria sogni di esporre?
Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series
Non sogno una galleria in particolare, mi piacerebbe ritornare ad esporre a Parigi, dove avrei l'occasione di recuperare rapporti lavorativi e di amicizia, oltre a poter rivedere la mia famiglia. Conosco bene il mondo delle gallerie di Parigi ma so che potrei approfondirlo ancora. Più che una galleria sogno di esporre in un museo, perché è una struttura più aperta al pubblico e offre una visibilità più ampia. La Maison Européenne de la Photographie è senz'altro nella rosa dei miei musei favoriti. 

Hai viaggiato, vissuto e esposto le tue fotografie in diverse città d'Europa e del mondo (tra cui la Sohophoto Gallery di NY). Quale città oggi dà maggiore respiro alla fotografia sperimentale?
New York è da sempre la città più all'avanguardia, ricchissima di gallerie intraprendente e anticonformiste. In Europa invece Berlino è la città più aperta e interessata a questo genere di fotografia, fin dalla Bauhaus dei primi anni '20.

Come vedi il tuo lavoro? Come un reportage sulle città o come una riflessione personale sui luoghi?
In entrambi i modi. La tecnica della sovrapposizione di due scatti mi permette di far coesistere in un'unica immagine due tematiche diverse, due impressioni differenti che danno vita a qualcosa di completamente nuovo, a metà strada tra il reale e il surreale.

Per costruire le tue "doppie esposizioni" quanto conta la casualità e quanto uno studio premeditato?
La casualità è sempre stata una volontà personale. Potrei lavorare in modo molto diverso. Ho una Hasselblad, potrei realizzare degli scatti sovrapposti in modo molto preciso, senza lasciare niente al caso. Potrei prendere degli appunti, per sapere quale fotogramma corrisponde a quale luogo fotografato, così da decidere quale immagine sovrapporvi. Invece non lo faccio mai affinché il risultato sia una sorpresa anche per me.
Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series
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Il tuo stile appare unico e immutato se si osserva tutta la tua produzione sul tuo sito web... ma so che ti stai mettendo alla prova con qualcosa di nuovo...
Fino al 2003 ho dipinto e ho utilizzato diverse tecniche fotografiche. Il mio sito non ospita tutta la mia produzione. Amici artisti e fotografi mi hanno suggerito di conservare un'impronta univoca e caratterizzante e quindi di non pubblicare fotografie più tradizionali che si discostano dalla tecnica della doppia esposizione. Attualmente sto portando avanti un progetto di reportage che mi è stato commissionato dal Comune di Saint Amand Les Eaux che è gemellato con il Comune di Tivoli. In questa occasione il mio lavoro sarà un reportage fotografico puro e tradizionale.
Foto di Hugues Roussel - Autoritratto "La Crise", 1998

I tuoi autoritratti del 1998 e in particolare La Crise I e II sono davvero interessanti. Cosa succedeva in quel periodo?
Era un periodo completamente folle. Stavo finendo i mie studi in Architettura a Parigi. Dipingevo, disegnavo, fotografavo e gestivo anche un'associazione culturale con alcuni amici. Organizzavamo letture di poesie, teatro, esposizioni, concerti. E' stato un periodo molto ricco, sia dal punto di vista della creazione che sul piano dei rapporti interpersonali. Quegli anni sono stati per me un'esperienza molto forte. L'entourage di cui facevo parte e tutto il mondo che esisteva intorno sono diventati troppo, mi hanno portato alla "Crise" e poi a maturare la volontà di lasciare Parigi ed arrivare a Roma.

Scatti ancora autoritratti?
Foto di Hugues Roussel_ No standing Series
Lo faccio ancora ma non sono più autobiografici come gli scatti sovrapposti di quegli anni. Viaggiando con la fotocamera basta un riflesso su un vetro, uno specchio, un'ombra per scattare una foto di se stessi. Credo che sia un gioco che tutti i fotografi facciano con se stessi.

Cosa senti mentre fotografi? Sei tu a dominare la città o è lei a dominare te?
Con Inverse Landscape sento che sono io a dominare la città, è il mio occhio a controllare lo spazio. Mentre quando realizzo un vero e proprio ritratto del paesaggio urbano è la luce della città a guidarmi.

Nel tuo lavoro, la figura umana e le persone hanno sempre un ruolo marginale, spesso non appaiono affatto. Dunque si può raccontare un luogo senza fotografare chi lo abita?
Certamente. Sono le persone a caratterizzare i luoghi e soprattutto gli spazi urbani. Io sono molto rispettoso nei confronti delle persone e sono anche abbastanza timido. Il che mi porta a mantenere sempre una certa distanza dalle persone invece di fotografarne il viso da vicino. Soprattutto in viaggio è molto difficile riuscire a 'restituire' la foto alla persona fotografata, cosa che per me è importantissima. Per questo le mie fotografie rappresentano gli individui nello spazio, dei quali però il volto non è leggibile.

Hugues Rousse_ Rome Series
Visto che sei uno dei pochissimi artisti che resiste in questa città, cosa ami e cosa odi di Roma?
Il primo elemento in assoluto che mi fa amare Roma è la luce naturale e in secondo luogo, direi, il caos. Mi riferisco ai contrasti che esistono in questa città, come tra campagna e città moderna, tra resti romani e architettura mussoliniana. Quello che non amo è l'inciviltà, la mancanza di rispetto da parte della popolazione romana verso la loro propria città e verso gli altri cittadini. Sul piano professionale, quello che spesso mi rende la vita difficile è la mancanza di professionalità da parte di critici, galleristi. Gli spazi espositivi per la fotografia e per l'arte in generale sono pochissimi e sono monopolizzati da una piccola élite di persone che creano un ambiente ristretto e non permeabile.

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