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Foto di Albert&Verzone. |
Ha solo trent'anni, una passione vibrante per il suo lavoro e un curriculum mozzafiato ma ancora in molti le chiedono cosa faccia esattamente. Daria Scolamacchia, assistente photoeditor e ricercatrice iconografica nella redazione fotografica di Io Donna del Corriere della Sera, ci racconta la sua professione, "la fusione perfetta di giornalismo e fotografia".
- Quanti anni hai? Barra una casella: da 25 a 30, da 30 a 35, 35 e 40.
Ho trent'anni.
- In Italia il ruolo di photoeditor è poco conosciuto. Quando hai capito che sarebbe stato il tuo obiettivo professionale?
Quando ero all'università non avevo le idee chiare sul mio futuro, sapevo che mi sarebbe piaciuto lavorare col cinema, la fotografia ed il giornalismo. Guardavo -e lo faccio tuttora- una quantità considerevole di film e scattavo foto da autodidatta. All'inizio credevo di voler fare la fotografa, poi però ho capito che la fotografia era una sfera troppo intima della mia vita, le mie foto erano mie e basta. Dopo la laurea ho fatto un lungo viaggio in America e, tornata a Roma, ho cominciato il mio stage presso AP Photos.
L'idea era di cominciare un percorso da photoreporter, ma stando in redazione ho scoperto che c'era il pre e il post di una fotografia: il lavoro di editing significava non solo individuazione di temi e soggetti "da coprire", ma anche selezione degli scatti più significativi, non necessariamente i migliori. Subito dopo è stata la volta di APTN, la redazione televisiva di AP, dove, ancora stagista, lavoravo come "producer", nell'accezione americana del termine: andavo in giro con un cameraman a seguire gli eventi più importanti del giorno, facevo interviste che sbobinavo e montavo in redazione, le mandavo nell'etere. Ero ancora lì quando sono stata chiamata a lavorare per l'agenzia Contrasto - dove avevo fatto uno stage qualche mese prima.
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Foto di Joel Meyerowitz |
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Foto di Juan Manuel Castro Prieto |
Come responsabile dell'International desk mi occupavo di produzione e di distribuzione dei servizi realizzati, dovevo sottoporre le nostre produzioni a varie testate internazionali. Ho imparato come si costruisce un lavoro fotografico, cosa lo rende "notiziabile" e vendibile, cosa proporre a chi. E' stato un percorso ricco e molto utile per comprendere il lavoro di un fotografo e quanto sia importante l'attività redazionale che lo precede. Poi sono arrivata a Io donna, ed è stato come passare dall'altra parte, dalla parte del cliente. In questo l'esperienza in produzione si è rivelata molto proficua: sapevo cosa chiedere e conoscevo i tempi ed i costi per la realizzazione di un servizio.
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Foto di James Nachtwey |
A Io donna non mi occupo solo di ricerca iconografica: nella redazione fotografica gestiamo anche grosse produzioni per le cover del giornale (spesso si tratta di celebrities che vanno fotografate, a meno che non si acquistino "set" già esistenti) e lavori da commissionare ai fotografi, sia reportage che ritratti di personaggi da intervistare. Per questo è importante conoscere quanti più fotografi è possibile, sapere come lavorano e che tipo di sguardo hanno. Avere un'idea il più esatta possibile del risultato che si vuole ottenere, affidarla ad un professionista in grado di darle forma.
In questi anni ho capito che il mio lavoro mi piace perchè è una fusione perfetta di giornalismo e fotografia.
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Foto di Joel Meyerowitz |
Il caso conta sempre, ma spesso lo costruiamo senza accorgercene. Io ho seguito un percorso molto coerente in maniera naturale, quasi fossero gli eventi a determinarlo, ed ora ho una professionalità piuttosto specifica, per cui a volte penso che non potrei fare altro...
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Foto di Juan Manuel Castro Prieto |
Mi piace fotografare ma non sono una fotografa, credo anzi che le due attività spesso stridano: quando fotografi c'è sempre il rischio che ti affezioni ai tuoi scatti; per un buon editing è necessario il distacco, lo sguardo lucido, che non esclude necessariamente un coinvolgimento empatico.
- Quali sono i nomi che compongono la rosa dei tuoi fotografi preferiti? (ne bastano 4.. se non vuoi dircene di più)
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Foto di Francesca Woodman |
Ce ne sono moltissimi, ma tra i primi ci sono sicuramente James Nachtwey, Diane Arbus, Francesca Woodman, Joel Meyerowitz, Juan Manuel Castro Prieto, Michael Akerman, JR, Richard Avedon, Massimo Vitali e in generale mi piacciono i fotografi che hanno uno sguardo "divertito" sulla realtà, come Lars Tunbjörk.
- Se non fossi stata photoeditor, in quale altra professione ti sentiresti riconosciuta?
Probabilmente avrei provato ad occuparmi di critica cinematografica.
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Foto di Michael Akerman |
- Dal mondo del fotogiornalismo a quello della moda e del lifestyle di Io Donna del Corriere della Sera. Perchè questo cambiamento?
Io lavoro nella redazione attualità di Io donna, che è distinta dalla redazione Moda. Quindi continuo ad occuparmi di attualità e fotografia documentaria pur lavorando in un femminile.
- Cosa ami e cosa odi del tuo lavoro?
Amo la possibilità di avere sempre notizie fresche, di avere il mondo a portata di mano. Odio la sedentarietà ed il fatto di vivere davanti al computer.
- Con chi ti piacerebbe lavorare con cui non hai ancora lavorato?
Mi piacerebbe far parte della giuria di un premio fotografico e confrontarmi con persone che fanno il mio stesso lavoro.
- Se io ti regalassi un biglietto d'aereo per qualsiasi destinazione e due settimane di ferie, dove andresti subito? (e perchè?)
New York è sempre il mio film preferito, ma vorrei andare a Buenos Aires, non ci sono mai stata e sento racconti di un fermento importante e altamente creativo.
- Un libro che non può mancare sugli scaffali di un photoeditor.
"Sulla fotografia" di Susan Sontag, ma anche "Get the picture" di John G. Morris.
- Non si può fotografare qualcosa che non esiste. Oppure si può? Quale delle due visioni preferisci?
La seconda.
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Foto di James Nachtwey |
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Foto di Massimo Vitali |