lunedì 30 gennaio 2012

CHI TROVA UN ARTISTA TROVA UN TESORO - Gianfranco Gorgoni, il fotografo della New Avant-Garde

(La corretta visualizzazione di questo blog è con Google ChromeMozilla e Safarinon con Internet Explorer) 
(Stralci dall'articolo di Anna Maria D'Urso, a pag. 82 dell'Europeo di questo mese).
Nel suo portfolio ci sono Andy Warhol, insieme con Giorgio de Chirico, James Rosenquist in atelier nel 1973, Roy Lichtestein appoggiato sulle braccia ad una tela [...]. Gli scatti vintage firmati da Gianfranco Gorgoni che tappezzano Bologna in occasione di Arte Fiera 2012 sono un diario visivo dell'arte contemporanea, dalla pop art alla new avant-garde

Foto di Gianfranco Gorgoni - Keith Sonnier

.





























Tutto è iniziato con un viaggio di sola andata Bomba (un paesino degli Abruzzi) - New York, a bordo di un cargo dell'Italsider, in cambio di un servizio fotografico. Era il 1968. Gianfranco Gorgoni (1941) non aveva i soldi per il biglietto di ritorno: fotografava la città, andava alle feste e al Max's Kansas City, il bar frequentato dagli artisti. Dopo soli due anni Gorgoni realizzò il libro The New Avant-Garde. Issues for the Art of Seventies (1972), in cui ritraeva l'intero mondo dell'arte newyorkese: Richard Serra, Dan Flavin, Carl Andre, Sol Le Witt [...]

Foto di Gianfranco Gorgoni - Maurizio Cattelan
Foto di Gianfranco Gorgoni - Giorgio De Chirico e Andy Warhol
<<La fortuna non esiste. Per catturare l'immagine giusta bisogna creare le condizioni. Poi qualcosa succede sempre>>, sostiene Gorgoni. Una delle foto più famose, Andy Warhol con Giorgio de Chirico (1974), è frutto d'improvvisazione. <<C'era un ricevimento a New York in un appartamento molto chic, del console dell'ambasciata italiana. Luci soffuse, un disastro per fotografare. Arrivò Andy Warhol e io non riuscivo a scattare. Ruppi un abat-jour e puntai la lampadina accesa contro i due pittori. Andy si scandalizzò: "Ma che fai? Sei matto? Rompi la casa!">>. E' proprio l'illuminazione della scena, con l'ombra di De Chirico che si allunga sul muro, a drammatizzare l'istantanea. [...] Foto dopo foto il grande fotografo abruzzese ha registrato i linguaggi della performance, della conceptual, ha contribuito al lancio della land art, anzi le ha rubato la scena riproducendo con le foto - e quindi rendendole visibili - opere monumentali scolpite nel territorio. 
Foto di Gianfranco Gorgoni - Robert Smithson, Spiral Jetty

[...] Le opere della land art, ovviamente, non sono trasportabili e quindi in mostra finirono le foto scattate da Gorgoni. [...] Scattare fotografie ai protagonisti della pop art per Gianfranco Gorgoni non è stato un lavoro, ma un hobby. <<Non mi facevo pagare, mi piaceva stare con gli artisti, ma per realizzare qualcosa di buono dovevo trascorrere almeno un'ora nello studio di un pittore, conoscerlo, osservarlo mentre lavorava>>. [...] <<Ogni volta che vado a fare fotografie, dalla tensione mi viene il mal di testa. Ma ancora oggi, quando ritraggo un pittore, penso che è una persona che fa un lavoro speciale, che solo standogli vicino mi arricchisco. Gli artisti vedono cose che noi non vediamo. Con molti di loro sono diventato amico>>. [...]
Foto di Gianfranco Gorgoni - Christ
Lei possiede opere di artisti che ha ritratto? <<Si ho qualcosa. [...] Capitava che qualche artista volesse comprare le mie foto che lo ritraevano, gliele regalavo e loro ricambiavano con un disegno>>. Da 44 anni pendolare tra Bomba e New York, Gorgoni continua a coltivare il suo hobby: inquadrare con il suo obiettivo, artisti, opere, installazioni.
Foto di Gianfranco Gorgoni - Richard Serra

Foto di Gianfranco Gorgoni - Dan-Flavin, New York, 1970

Foto di Gianfranco Gorgoni - Joseph Beuys

Foto di Gianfranco Gorgoni - Michael Heizer, Circular Planar Displacement Drawing


martedì 24 gennaio 2012

Vedi Roma, New York, Parigi, Berlino.. e poi muori. WHO IS Hugues Roussel - il fotografo della città

(La corretta visualizzazione di questo blog è con Google Chrome, Mozilla e Safari, non con Internet Explorer)
Originario di Béthune, un piccolissimo paese della Francia, a due passi dal confine belga, Hugues Roussel ha perfezionato negli anni una tecnica fotografica sperimentata da pochissimi artisti nella storia della fotografia. Espone il negativo due volte, lasciando che luoghi diversi e luci si imprimano uno sull'altro. Così costruisce il progetto Inverse Landscape in cui il paesaggio urbano viene stravolto e la pellicola diventa una traccia visibile del supporto fotografico.

Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series
Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series

In quale galleria sogni di esporre?
Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series
Non sogno una galleria in particolare, mi piacerebbe ritornare ad esporre a Parigi, dove avrei l'occasione di recuperare rapporti lavorativi e di amicizia, oltre a poter rivedere la mia famiglia. Conosco bene il mondo delle gallerie di Parigi ma so che potrei approfondirlo ancora. Più che una galleria sogno di esporre in un museo, perché è una struttura più aperta al pubblico e offre una visibilità più ampia. La Maison Européenne de la Photographie è senz'altro nella rosa dei miei musei favoriti. 

Hai viaggiato, vissuto e esposto le tue fotografie in diverse città d'Europa e del mondo (tra cui la Sohophoto Gallery di NY). Quale città oggi dà maggiore respiro alla fotografia sperimentale?
New York è da sempre la città più all'avanguardia, ricchissima di gallerie intraprendente e anticonformiste. In Europa invece Berlino è la città più aperta e interessata a questo genere di fotografia, fin dalla Bauhaus dei primi anni '20.

Come vedi il tuo lavoro? Come un reportage sulle città o come una riflessione personale sui luoghi?
In entrambi i modi. La tecnica della sovrapposizione di due scatti mi permette di far coesistere in un'unica immagine due tematiche diverse, due impressioni differenti che danno vita a qualcosa di completamente nuovo, a metà strada tra il reale e il surreale.

Per costruire le tue "doppie esposizioni" quanto conta la casualità e quanto uno studio premeditato?
La casualità è sempre stata una volontà personale. Potrei lavorare in modo molto diverso. Ho una Hasselblad, potrei realizzare degli scatti sovrapposti in modo molto preciso, senza lasciare niente al caso. Potrei prendere degli appunti, per sapere quale fotogramma corrisponde a quale luogo fotografato, così da decidere quale immagine sovrapporvi. Invece non lo faccio mai affinché il risultato sia una sorpresa anche per me.
Foto di Hugues Roussel - Jungle City Series
.
















Il tuo stile appare unico e immutato se si osserva tutta la tua produzione sul tuo sito web... ma so che ti stai mettendo alla prova con qualcosa di nuovo...
Fino al 2003 ho dipinto e ho utilizzato diverse tecniche fotografiche. Il mio sito non ospita tutta la mia produzione. Amici artisti e fotografi mi hanno suggerito di conservare un'impronta univoca e caratterizzante e quindi di non pubblicare fotografie più tradizionali che si discostano dalla tecnica della doppia esposizione. Attualmente sto portando avanti un progetto di reportage che mi è stato commissionato dal Comune di Saint Amand Les Eaux che è gemellato con il Comune di Tivoli. In questa occasione il mio lavoro sarà un reportage fotografico puro e tradizionale.
Foto di Hugues Roussel - Autoritratto "La Crise", 1998

I tuoi autoritratti del 1998 e in particolare La Crise I e II sono davvero interessanti. Cosa succedeva in quel periodo?
Era un periodo completamente folle. Stavo finendo i mie studi in Architettura a Parigi. Dipingevo, disegnavo, fotografavo e gestivo anche un'associazione culturale con alcuni amici. Organizzavamo letture di poesie, teatro, esposizioni, concerti. E' stato un periodo molto ricco, sia dal punto di vista della creazione che sul piano dei rapporti interpersonali. Quegli anni sono stati per me un'esperienza molto forte. L'entourage di cui facevo parte e tutto il mondo che esisteva intorno sono diventati troppo, mi hanno portato alla "Crise" e poi a maturare la volontà di lasciare Parigi ed arrivare a Roma.

Scatti ancora autoritratti?
Foto di Hugues Roussel_ No standing Series
Lo faccio ancora ma non sono più autobiografici come gli scatti sovrapposti di quegli anni. Viaggiando con la fotocamera basta un riflesso su un vetro, uno specchio, un'ombra per scattare una foto di se stessi. Credo che sia un gioco che tutti i fotografi facciano con se stessi.

Cosa senti mentre fotografi? Sei tu a dominare la città o è lei a dominare te?
Con Inverse Landscape sento che sono io a dominare la città, è il mio occhio a controllare lo spazio. Mentre quando realizzo un vero e proprio ritratto del paesaggio urbano è la luce della città a guidarmi.

Nel tuo lavoro, la figura umana e le persone hanno sempre un ruolo marginale, spesso non appaiono affatto. Dunque si può raccontare un luogo senza fotografare chi lo abita?
Certamente. Sono le persone a caratterizzare i luoghi e soprattutto gli spazi urbani. Io sono molto rispettoso nei confronti delle persone e sono anche abbastanza timido. Il che mi porta a mantenere sempre una certa distanza dalle persone invece di fotografarne il viso da vicino. Soprattutto in viaggio è molto difficile riuscire a 'restituire' la foto alla persona fotografata, cosa che per me è importantissima. Per questo le mie fotografie rappresentano gli individui nello spazio, dei quali però il volto non è leggibile.

Hugues Rousse_ Rome Series
Visto che sei uno dei pochissimi artisti che resiste in questa città, cosa ami e cosa odi di Roma?
Il primo elemento in assoluto che mi fa amare Roma è la luce naturale e in secondo luogo, direi, il caos. Mi riferisco ai contrasti che esistono in questa città, come tra campagna e città moderna, tra resti romani e architettura mussoliniana. Quello che non amo è l'inciviltà, la mancanza di rispetto da parte della popolazione romana verso la loro propria città e verso gli altri cittadini. Sul piano professionale, quello che spesso mi rende la vita difficile è la mancanza di professionalità da parte di critici, galleristi. Gli spazi espositivi per la fotografia e per l'arte in generale sono pochissimi e sono monopolizzati da una piccola élite di persone che creano un ambiente ristretto e non permeabile.

giovedì 19 gennaio 2012

LA FOTOGRAFIA NON MUORE MAI... E IL FOTOGRAFO? Parlano: OnOff Picture, GRIN Photoeditors e Tau Visual @Officine Fotografiche

(La corretta visualizzazione di questo blog è con Google ChromeMozilla e Safarinon con Internet Explorer)
Foto di Joel Meyerowitz
Non sono in molti in Italia a dar vita ad incontri dedicati al mondo della fotografia. A Roma, le dita di una mano sono più che sufficienti per contare le poche associazioni culturali, i collettivi e le istituzioni museali che danno un significativo contributo alla promozione e alla divulgazione della cultura fotografica e di ciò si muove intorno ad essa. Non ho perso tempo infatti quando ho letto che Officine Fotografiche avrebbe organizzato 5 giorni di tavole rotonde, corsi e workshop sulla fotografia, di cui solo due completamente gratuiti. Proprio ieri si è svolto un dibattito sulla fotografia nell'era della crisi. Ciò che è emerso immediatamente, anche se non è stato affermato in modo chiaro, è che la fotografia e soprattutto il mestiere di fotografo sono in crisi di per se stessi e lo sarebbero, anche in un periodo florido per l'economia. Ma andiamo con ordine. Ha moderato il dibattito Angelo Cucchetto, dal fortissimo accento milanese, detentore di diversi blog tra cui photographers.it. Alcuni ospiti erano stati invitati a intervenire: Roberto Tomesani,  Coordinatore Generale dell’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti - TAU Visual, di cui è anche il fondatore (vi invito, miei cari lettori, a visitare il suo sito web e a guardare i suoi video 'didattici' su youtube, per elaborare un vostro giudizio sulla qualità di entrambi, giacchè l'Associazione di cui è a capo si pone come rappresentativa della categoria dei fotografi). Fortunatamente tra gli ospiti vi erano anche  Mariateresa Cerretelli, direttice del Gruppo Redattori Iconografici Nazionale GRIN (ovvero dei photoeditor italiani) e  photoeditor di Class; Pietro Vertamy e Alessandro Toscano, direttori dell'agenzia fotografica OnOff Picturespecializzata in fotogiornalismo e reportage.

Foto di Richard Avedon

Tomesani ha aperto la discussione senza affermare niente di nuovo, lanciando sulla platea pillole di immotivato ottimismo e consigli liberamente ispirati a libri di autoaiuto nell'imprenditoria (vedi Personal Branding oppure Scopri il leader che c'è in te). "Non è più tempo di specializzarsi in un unico settore fotografico, bisogna imparare a realizzare diversi tipi di fotografia ma continuare ad essere percipiti dai clienti come fotografi altamente specializzati in un determinato campo". Tomesani ha addirittura affermato che bisognerebbe costruirsi fino a 3 o 4 siti web, per esempio, uno come fotografo di interni d'albergo, uno come fotografo di matrimoni, uno per gli still life e così all'infinito. Il direttore di Tau Visual ha costruito queste tesi illuminanti basandosi sulle numerose statistiche che l'Associazione ha raccolto. Ha inoltre affermato: "Oggi riuscire a scattare fotografie emozionanti e tecnicamente buone è un'arte diffusa come saper usare il pacchetto Office. Come può fare un fotografo a distinguersi rispetto agli altri? Con la sovrapposizione di competenze, ovvero attraverso una combinazione sinergica di diverse abilità. Dunque la fotografia non deve essere l'unico amore della vostra vita".

Foto di Joel Meyerowitz
Mariateresa Cerretelli, come photoeditor, ha condiviso con il pubblico un punto di vista differente. "La copertina è rimasta l'unica produzione (fotografica) di un magazine mentre tutte le fotografie che appaiono nelle altre pagine della rivista provengono dai grandi archivi e dai database come quello di Getty Images o Corbis invece di essere  commissionate ad un fotografo, come avveniva fino a dieci anni fa". Rispondendo ad una domanda del moderatore ha spiegato che riceve moltissime candidature di fotografi e che tende a prediligere chi usa un approccio diretto (telefono e non mail) e chi si mostra preparato sullo stile e sugli argomenti trattati dal magazine. Secondo Mariateresa costituisce un plusvalore per un fotografo il fatto di proporre ad un photoeditor un progetto nato attraverso una collaborazione spontanea con un giornalista. In questo modo il fotografo vende un pacchetto costituito da un'idea nuova, una parte scritta e un servizio fotografico. Infine ha ricordato che ciò che interessa più di ogni altra cosa ad un photoeditor è il cosiddetto  portfolio dei progetti e non il portfolio commerciale, perchè nel primo è visibile lo stile del fotografo ad un livello più puro, grezzo e originale.
Foto di Richard Avedon
Si può dire infatti che si sia completamente stravolto il significato del 'lavoro su committenza'.  Il giornale raramente commissiona ad un fotografo un servizio su un determinato argomento, piuttosto è il giornale ad acquistare dal fotografo un'idea originale partorita da quest'ultimo, che poi dovrà portare avanti per il giornale. 

I due giovani direttori dell'Agenzia OnOff PicturePietro Vertamy e Alessandro Toscano, hanno confermato questa tendenza sempre più marcata. "E' il fotografo a proporre temi e possibili sviluppi alle redazioni, a interrogarsi su quali argomenti interessino quali magazine, perchè una storia è adatta solo ad alcune riviste, sia in Italia sia all'estero. Non è difficile individuare cosa è adatto a chi, è importante sfogliare, guardare e osservare molti magazine. In questo periodo di crisi e pessimismo lavorano molto i fotografi che riescono a dare un taglio ironico ai loro scatti". Il ragazzi di OnOff hanno raccontato di come sia possibile dar vita ad un collettivo fotografico ("Sono fondamentali affinità elettive e caratteriali, come i ragazzi di TerraProject che erano compagni di scuola") e di come l'abbiano poi trasformato in una vera e propria agenzia, ponendosi come mediatori tra i fotografi e le redazioni dei giornali.
Foto di Joel Meyerowitz
I rappresentanti del collettivo hanno voluto porre l'attenzione anche su altri aspetti: la figura del fotografo oggi vive una fase di crisi anche per alcune carenze che spesso porta con sè. Il fotogiornalista era e dovrebbe continuare ad essere prima di tutto un giornalista: aggiornato sull'attualità, in grado di seguire nel tempo un argomento e di sviscerarne i dettagli e gli sviluppi, deve saper scrivere e parlare con una certa abilità per saper presentare il suo lavoro e in generale per riuscire a comunicare efficacemente con il cliente. "Non bisogna mai dimenticare che fotografare è prima di tutto un mezzo per poter dire qualcosa" ha detto Alessandro Toscano, "quando una fotografia non ha niente da dire si vede, subito".


*Il collettivo OnOff Picture, con il progetto Migrant Workers Journey, sviluppato insieme a Prospekt Photographers sarà in mostra da oggi alla Galleria San Fedele di Milano.

giovedì 12 gennaio 2012

WHO IS Daria Scolamacchia - Photoeditor @ Io Donna

(La corretta visualizzazione di questo blog è con Google Chrome, Mozilla e Safari, non con Internet Explorer)
Foto di Albert&Verzone.
 Ha solo trent'anni, una passione vibrante per il suo lavoro e un curriculum mozzafiato ma ancora in molti le chiedono cosa faccia esattamente. Daria Scolamacchia, assistente photoeditor e ricercatrice iconografica nella redazione fotografica di Io Donna del Corriere della Sera, ci racconta la sua professione, "la fusione perfetta di giornalismo e fotografia". 

- Quanti anni hai? Barra una casella: da 25 a 30, da 30 a 35, 35 e 40.
 Ho trent'anni.
- In Italia il ruolo di photoeditor è poco conosciuto. Quando hai capito che sarebbe stato il tuo obiettivo professionale?
Quando ero all'università non avevo le idee chiare sul mio futuro, sapevo che mi sarebbe piaciuto lavorare col cinema, la fotografia ed il giornalismo. Guardavo -e lo faccio tuttora- una quantità considerevole di film e scattavo foto da autodidatta. All'inizio credevo di voler fare la fotografa, poi però ho capito che la fotografia era una sfera troppo intima della mia vita, le mie foto erano mie e basta. Dopo la laurea ho fatto un lungo viaggio in America e, tornata a Roma, ho cominciato il mio stage presso AP Photos.
 L'idea era di cominciare un percorso da photoreporter, ma stando in redazione ho scoperto che c'era il pre e il post di una fotografia: il lavoro di editing significava non solo individuazione di temi e soggetti "da coprire", ma anche selezione degli scatti più significativi, non necessariamente i migliori. Subito dopo è stata la volta di APTN, la redazione televisiva di AP, dove, ancora stagista, lavoravo come "producer", nell'accezione americana del termine: andavo in giro con un cameraman a seguire gli eventi più importanti del giorno, facevo interviste che sbobinavo e montavo in redazione, le mandavo nell'etere. Ero ancora lì quando sono stata chiamata a lavorare per l'agenzia Contrasto - dove avevo fatto uno stage qualche mese prima.

Foto di Joel Meyerowitz
Foto di Juan Manuel Castro Prieto
Come responsabile dell'International desk mi occupavo di produzione e di distribuzione dei servizi realizzati, dovevo sottoporre le nostre produzioni a varie testate internazionali. Ho imparato come si costruisce un lavoro fotografico, cosa lo rende "notiziabile" e vendibile, cosa proporre a chi. E' stato un percorso ricco e molto utile per comprendere il lavoro di un fotografo e quanto sia importante l'attività redazionale che lo precede. Poi sono arrivata a Io donna, ed è stato come passare dall'altra parte, dalla parte del cliente. In questo l'esperienza in produzione si è rivelata molto proficua: sapevo cosa chiedere e conoscevo i tempi ed i costi per la realizzazione di un servizio. 



Foto di James Nachtwey

A Io donna non mi occupo solo di ricerca iconografica: nella redazione fotografica gestiamo anche grosse produzioni per le cover del giornale (spesso si tratta di celebrities che vanno fotografate, a meno che non si acquistino "set" già esistenti) e lavori da commissionare ai fotografi, sia reportage che ritratti di personaggi da intervistare. Per questo è importante conoscere quanti più fotografi è possibile, sapere come lavorano e che tipo di sguardo hanno. Avere un'idea il più esatta possibile del risultato che si vuole ottenere, affidarla ad un professionista in grado di darle forma.
In questi anni ho capito che il mio lavoro mi piace perchè è una fusione perfetta di giornalismo e fotografia. 
     
Foto di Joel Meyerowitz
- Dal tuo curriculum su linkedin il tuo percorso professionale sembra molto coerente (Associated Press, The Guardian, Contrasto). E' così? Quanto è contato per te il caso e quanto i progetti a tavolino?
Il caso conta sempre, ma spesso lo costruiamo senza accorgercene. Io ho seguito un percorso molto coerente in maniera naturale, quasi fossero gli eventi a determinarlo, ed ora ho una professionalità piuttosto specifica, per cui a volte penso che non potrei fare altro...

Foto di Juan Manuel Castro Prieto
- Sei fotografa?
Mi piace fotografare ma non sono una fotografa, credo anzi che le due attività spesso stridano: quando fotografi c'è sempre il rischio che ti affezioni ai tuoi scatti; per un buon editing è necessario il distacco, lo sguardo lucido, che non esclude necessariamente un coinvolgimento empatico.

- Quali sono i nomi che compongono la rosa dei tuoi fotografi preferiti? (ne bastano 4.. se non vuoi dircene di più)
Foto di Francesca Woodman
Ce ne sono moltissimi, ma tra i primi ci sono sicuramente James Nachtwey, Diane Arbus, Francesca Woodman, Joel Meyerowitz, Juan Manuel Castro Prieto, Michael Akerman, JR, Richard Avedon, Massimo Vitali e in generale mi piacciono i fotografi che hanno uno sguardo "divertito" sulla realtà, come Lars Tunbjörk.

- Se non fossi stata photoeditor, in quale altra professione ti sentiresti riconosciuta?
Probabilmente avrei provato ad occuparmi di critica cinematografica.

Foto di Michael Akerman
- Dal mondo del fotogiornalismo a quello della moda e del lifestyle di Io Donna del Corriere della Sera. Perchè questo cambiamento?
Io lavoro nella redazione attualità di Io donna, che è distinta dalla redazione Moda. Quindi continuo ad occuparmi di attualità e fotografia documentaria pur lavorando in un femminile.
- Cosa ami e cosa odi del tuo lavoro?
Amo la possibilità di avere sempre notizie fresche, di avere il mondo a portata di mano. Odio la sedentarietà ed il fatto di vivere davanti al computer.

- Con chi ti piacerebbe lavorare con cui non hai ancora lavorato? 
Mi piacerebbe far parte della giuria di un premio fotografico e confrontarmi con persone che fanno il mio stesso lavoro.

- Se io ti regalassi un biglietto d'aereo per qualsiasi destinazione e due settimane di ferie, dove andresti subito? (e perchè?)
New York è sempre il mio film preferito, ma vorrei andare a Buenos Aires, non ci sono mai stata e sento racconti di un fermento importante e altamente creativo.

- Un libro che non può mancare sugli scaffali di un photoeditor.
"Sulla fotografia" di Susan Sontag, ma anche "Get the picture" di John G. Morris.

- Non si può fotografare qualcosa che non esiste. Oppure si può? Quale delle due visioni preferisci? 
La seconda. 


Foto di James Nachtwey


Foto di Massimo Vitali







La decadenza del mondo dell'arte - Charles Saatchi


 L'Internazionale di qualche tempo fa ha pubblicato una notizia del Guardian che ha attirato la mia attenzione. Una dichiarazione virgolettata di Charles Saatchi [conosciuto in tutto il mondo come sfrenato collezionista d'arte, possessore di una celeberrima galleria a Londra e sostenitore del movimento dei Young British Artists, ma anche come proprietario di una delle maggiori agenzie pubblicitarie al mondo]. "Essere un compratore d'arte oggi è completamente e indiscutibilmente volgare. E' lo sport preferito dagli oligarchi trendy e mercanti d'arte con altissimo livello di autostima e compiacimento. Erano tutti lì che galleggiavano nei rispettivi super yacht a Venezia in occasione dell'ultima spettacolare biennale. A giugno Venezia, poi si prosegue a Saint-Tropez e a Natale tutti a St.Barts saltando da un party all'altro. Le credenziali artistiche crescono di pari passo con la cultura, l'eleganza, la ricchezza".
 "Non credo che a molti interessi veramente l'arte. Il loro unico piacere è rilevare lo sgomento degli amici quando misurano a peso d'oro l'ultimo gingillo acquistato. Il successo di mercanti e consulenti dipende dalla gratitudine dei ricchi clienti che, circondati da capolavori tremendamente alla moda, sembrano un po' più raffinati ed eleganti. Sono certo, e non dovrei dirlo, che pochi sappiano distinguere un buon artista da uno mediocre, prima che l'artista sia stato convalidato da altri. I curatori professionisti non hanno occhi per l'arte e preferiscono esporre video, incomprensibili installazioni post-concettuali e pannelli foto-testuali. I critici si limitano ad allestire le mostre che gli editori gli chiedono di allestire. I mercanti non hanno idea di quello che succede nelle altre gallerie. Il pubblico accorre per conversare, non per guardare. Spesso mi chiedono se concepisco l'arte senza pensare a un investimento. In verità tutto quello che guadagno lo spendo per comprare altre opere".  Charles Saatchi




sabato 7 gennaio 2012

Quando gli angeli vanno in bicicletta - Josef Koudelka

Una favola, un sogno, una fiaba. Un angelo in bicicletta attraversa la strada, mentre due cavalli neri trascinano una carrozza accanto a lui. 
Foto di Josef Koudelka
Foto di Josef Koudelka
Un uomo accovacciato parla ad un cavallo bianco che annuisce con sguardo languido. Un bambino bacia sulle labbra la statua di una donna, che lo tiene in braccio. Un maschera gigante attraversa la piazza correndo. La sagoma di un cane nero scappa furtivo in un campo innevato. 
Le fotografie di Josef Koudelka avvolgono chi le osserva in un mondo fantastico, in una storia incantata e naive.

Egli nasce nel 1938, a Boskovice, un paesino della Moravia. Prende in mano la macchina fotografica per la prima volta mentre studia all'università di ingegneria di Praga.

Foto di Josef Koudelka - da Gypsies
   In questi primi anni di interesse per la fotografia, Josef ragazzo fotografa la sua famiglia e i dintorni della sua abitazione. Dopo una prima mostra, inaugurata nello stesso anno della laurea in ingegneria, viene contattato da alcuni teatri di Praga come fotografo di scena. A 23 anni ottiene il suo primo impiego come ingegnere aeronautico, ma la fotografia documentaristica comincia ad appassionarlo sempre di più e lo porta ad avvicinarsi alle comunità gitane che popolano le aree intorno alla capitale ceca e dell'Est europeo. 

Foto di Josef Koudelka
Bastano 5 anni (1967) per decidere di abbandonare il lavoro di ingegnere e dedicarsi completamente alle immagini. Con le comunità zingare Koudelka intraprende un lavoro a lungo termine che sarà raccolto nel libro del 1975 Gypsies (pubblicato con due case editoriali estere, Delpire, francese e Aperture, americana). Sfogliando le fotografie del volume ci si accorge di come si modifichi lo sguardo del fotografo man mano che si addentra nel mondo gitano, nei suoi valori e nelle sue consuetudini. In una prima fase l'attenzione e l'interesse di Josef Koudelka sono rivolti alle caratteristiche somatiche e fisiche degli Zingari, alle loro espressioni del viso, ai loro vestiti e ornamenti. Con il passare del tempo invece l'attenzione dell'autore si rivolge agli usi e costumi degli Zingari e al loro stile di vita. Koudelka si lascia coinvolgere completamente dal suo lavoro di documentazione del mondo gypsie. Ne coglie le atmosfere magiche, artistiche e fiabesche, le sfumature della vita nomade. Vive, mangia e dorme con gli Zingari, vi si affeziona, crea legami con loro, finchè la sua vita ne viene assorbita.

Foto di Josef Koudelka - da Gypsies


E' il 1968, Josef ha trentanni e la sua vita di fotografo si svolge tra prime teatrali e gite in campagna dove cattura il mondo gitano, quando Praga viene invasa dai carri armati sovietici. Qui Koudelka compie una scelta politica forte e pericolosa. Decide di documentare l'occupazione e di pubblicare clandestinamente i suoi scatti sotto le iniziali P.P. (Prague Photographer), per paura di una rappresaglia contro se stesso e la sua famiglia. Ora i suoi scatti perdono inevitabilmente quel carattere immaginario, leggero e allegro che avevano avuto finora e diventano le immagini simbolo del drammatico evento.
Foto di Josef Koudelka - da Invasion Prague 1968

Foto di Josef Koudelka - da Invasion Prague 1968

Con questo reportage Koudelka ottiene il premio Robert Capa dell'Overseas Press Club.
Soltanto nel 2008 queste le immagini del reportage sull'occupazione saranno raccolte in un libro vero e proprio, Invasion Prague 1968, Aperture, USA. Nel 1970 Koudelka trova asilo politico in Inghilterra e diventa membro di Magnum nel 1974. Qualche anno dopo inizia a fotografare con una macchina panoramica creando una lunga serie di immagini descrittive di paesaggi tra la Francia, la Grecia, il Libano e la Repubblica Ceca.
Foto di Josef Koudelka - da Chaos

In queste immagini, raccolte nell'arco di dieci anni, emerge un autore più maturo, dal gusto più sobrio. Le fotografie vengono finalmente pubblicate in Chaos, un libro che viene descritto come una dura testimonianza dell'anarchia che l'uomo ha imposto a se stesso e alla natura, ovvero una testimonianza di tutte le tracce lasciate dall'uomo nell'ambiente attraverso le guerre, l'inquinamento e un abuso del suo potere. Tuttavia le immagini sono composte in modo molto accurato e rappresentano anche paesaggi incontaminati (probabilmente come monito per l'uomo dell'ordine innato presente nella natura).

Foto di Josef Koudelka - da Chaos

Il suo lavoro è stato pubblicato in più di una dozzina di libri. Ha vinto numerosi e significativi premi incluso il premio Nadar nel 1978, il Grand Prix National de la Photographie nel 1989, il Grand Prix Cartier-Bresson nel 1991 e l'Hasselblad Foundation International Award in Photography nel 1992.

Foto di Josef Koudelka 

Foto di Josef Koudelka - da Invasion Prague 1968

Foto di Josef Koudelka - da Gypsies



Foto di Josef Koudelka - da Invasion Prague 1968