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Roland Barthes |
Alla fine della sua vita, pochi mesi prima della morte, Roland Barthes (1915-1980) ha scritto una lunga 'nota' sulla fotografia, in realtà un testo ricco di riflessioni, considerazioni e digressioni sul significato dell'immagine fotografica.
La camera chiara, a detta dei lettori e studiosi di Barthes, risulta essere il testo più penetrante della sua carriera di critico letterario, linguista e semiologo.
Vorrei riportare qui alcuni degli stralci del testo che ho trovato più interessanti. Alcuni hanno un approccio umano rispetto all'immagine fotografica (mi stupisce, mi fa sognare, mi attrae), altri invece un approccio più scientifico (perchè e come una fotografia mi attrae).
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foto di Richard Avedon |
Il libro si apre così:
"Un giorno, molto tempo fa , mi capitò sottomano una fotografia dell'ultimo fratello di Napoleone, Girolamo (1852). In quel momento, con uno stupore che da allora non ho mai potuto ridurre, mi dissi: 'Sto vedendo gli occhi che hanno visto l'imperatore'. A volte mi capitava di parlare di quello stupore, ma siccome nessuno sembrava condividerlo e neppure comprenderlo (la vita è fatta di piccole solitudini), lo dimenticai".
"Ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo solo una volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente".
Scorrendo le pagine, Barthes ci propone una distinzione per spiegare il legame che intercorre tra la fotografia e la morte:
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foto di Alex Majoli |
"Osservai che la fotografia può essere l'oggetto di tre pratiche (o tre emozioni, o tre intenzioni): fare, subire, guardare. L'Operator è il fotografo. Lo Spectator siamo tutti noi che compulsiamo nei giornali, nei libri, negli album, negli archivi, nelle collezioni di fotografie. E colui o ciò che è fotografato, è il bersaglio, il referente [...] che io chiamerei volentieri lo Spectrum della Fotografia, dato che attraverso la sua radice questa parola mantiene un rapporto con lo 'spettacolo' aggiungendovi quella cosa vagamente spaventosa che c'è in ogni fotografia: il ritorno del morto".
In questa nota sulla fotografia Barthes conia una nuova distinzione tra i due elementi che emergono quando si osserva un'immagine. Il primo:
"Io non riuscivo a trovare, in francese, una parola che semplicemente esprimesse quella specie di interesse umano, ma in latino, credo, questa parola esiste: è studium, che non significa, per lo meno come prima accezione, 'lo studio', bensì l'applicazione a una cosa, il gusto per qualcuno, una sorta di interessamento, sollecito, certo, ma senza particolare intensità. E' attraverso lo studium che io mi interesso a molte fotografie, sia che le percepisca come testimonianze politiche, sia che le gusti come buoni quadri storici [...]. Lo studium è il vastissimo campo del desiderio noncurante, dell'interesse diverso, del gusto incoerente: mi piace, non mi piace."
"[...] Il secondo elemento viene a infrangere (o a scandire) lo studium. Questa volta, non sono io che vado in cerca di lui, [...] ma è lui che, partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge. Il punctum di una fotografia è quella fatalità che, in essa, mi punge."
Vorrei aggiungere che, secondo le considerazioni successive di Barthes a proposito del punctum, esso è inevitabilemnte un qualcosa di soggettivo, che quindi varia da persona a persona, da osservatore a osservatore di un'immagine. Infatti Barthes si serve di alcuni esempi di fotografie per spiegare che, ciò che lo colpisce, che lo "graffia" di questa o quella foto è il colletto della camicia della domestica perchè è identico a quello indossato da sua nonna cinquant'anni prima o quella strada sterrata slava perchè gli ricorda un viaggio che fece in gioventù nell'Est europeo.
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foto di William Klein (1954) |
Attraverso questa fotografia di William Klein appare evidente quanto la presenza del punctum in un'immagine sia soggettiva: "William Klein ha fotografato i monelli d'un quartiere italiano di New York (1954); è commovente, divertente ma ciò che io vedo, con ostinazione, sono i brutti denti del ragazzino". Secondo la mia sensibilità invece, il punctum di questa fotografia è lo sguardo giocoso del bambino e l'atmosfera ilare degli altri due nonostante abbia una pistola alla tempia. Infatti, come Barthes afferma più avanti, "ciò che io posso definire, non può realmente pungermi. L'impossibilità di definire è un buon sintomo di turbamento".
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foto di Bettina Rheims |
E poi suggerisce un modo per individuare, se c'è, il punctum di una fotografia:
"La fotografia dev'essere silenziosa [...]. La soggettività assoluta si raggiunge solo in uno stato, in uno sforzo di silenzio (chiudere gli occhi è far parlare l'immagine nel silenzio). La foto mi colpisce se io la tolgo dal suo solito bla-bla: tecnica, realtà, reportage, arte ecc.: non dire niente, chiudere gli occhi, lasciare che il particolare (il punctum) risalga da solo nella coscienza affettiva.
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foto di Bettina Rheims |
La fotografia erotica, per Barthes, costituisce un campo a sé, distaccato dagli altri. Egli scrive:
"La foto erotica, non fa del sesso un oggetto centrale, essa può benissimo non farlo vedere; essa trascina lo spettatore fuori dalla sua cornice ed è appunto per questo che io animo la foto e che essa a sua volta mi anima. Il punctum è quindi una specie di fuori-campo, come se l'immagine proiettasse il desiderio al di là di ciò che essa dà a vedere".
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foto di Bettina Rheims |